©Vita Nostra 2000, anno 40, n. 31, domenica 10 settembre 2000, p. 6

- Traduzione in sardo di Mc 7,24-37
- Commento di traduzione sul problema della
corrispondenza di termini in una traduzione formale

 Proponiamo un anticipo della traduzione in sardo del Vangelo di Marco, fatta da Antioco e Paolo Ghiani, a partire dal testo greco nell'edizione critica del Nestle (27a edizione) oggi adottata dai progetti internazionali di traduzione dell'Alleanza Biblica Universale. L'espressione sarda è quella propria ma non esclusiva dell'area del Sarcidano e l'equivalenza seguita è quella "formale". Ringraziamo gli autori della possibilità che ci hanno dato e ci auguriamo che ciò possa anche contribuire a un dibattito serio sui problemi posti dalla traduzione in sardo della Bibbia.

Chi intendesse esprimere pareri o suggerimenti circa le traduzioni e le discussioni proposte, può scrivere alla redazione del giornale (fax: 0783 767018; e-mail: vitanostra<chiocciola>vitanostra<punto>com).

 

Marcu 7,24-37
Gesùs andat in terra istrangia 

24Tandus si ndi fut pesau e si ndi fut andau de innì a is partis de Tiru e fut intrau a una domu e boliat a no ddu sciri nemus, ma non fut pòtziu abarrai cuau. 25Antzis illuegu dd’iat avreguau una fèmina chi teniat una fillixedda chi portàt unu spìritu malu, issa, lòmpia, si nci ddi fut getada a peis. 26Sa fèmina fut greca, de genti Sirofenissa, e ddi dimandada a nci bogai su dimòniu de sa filla sua. 27E issu ddi naràt: «Innantis lassa chi ndi siat bogau su fàmini a is pipius, ca no est bellu a ndi pigai su pani de is pipius po nci ddu fuliai a is calleddus». 28E issa iat arrespustu, e ddi narat: «Sennori, fintzas e is calleddus, asuta de sa mesa, si papant sa farinalla de is pipieddus». 29E dd’iat nau: «Po custu fueddu, bai: su dimòniu nd’est bessìu de filla tua. 30Torrada a domu sua, iat agatau sa pipiedda arrimada in su letu e su dimòniu ndi fut bessiu.

31E nci fut bessiu torra a is partis de Tiru, fut passau in Sidoni e fut torrau a su mari de sa Galilea a tretu de mesu de is làcanas de is Dexicitais. 32E nci ddi portant unu chi fut surdu e achichiadori e ddi pedint a ddi ponni sa manu, 33e [Gesùs] stresiendinceddu a parti aillargu de sa genti, dd’iat postu is didus in ogus, iat fatu salìa e dd’iat tocau sa lìngua, 34e pesaus is ogus a  celu iat suspirau e ddi narat: «Effatà», est a nai «Oberitì totu!». 35E illuegu si ddi fiant obertas is origas e si ddi fut istrobìu su nuu de sa lìngua e fueddàt paris. 36E ddus iat pretzetaus a non nai nudda a nemus; ma prus ddus pretzetàt e prus e prus ddu ddu bogànt a craru. 37 E abarrànt spantaus meda meda e narànt: «At fatu dònnia cosa bella, fait intèndiri is surdus e fait fueddai is mudus!».

Problema di traduzione: corrispondenza di termini in una traduzione formale

 

Contenuto. La lettura liturgica salta il racconto della donna cananea, perché già letto secondo il vangelo di Matteo nella ventesima domenica del tempo ordinario. La conseguenza è però quella di nascondere al lettore la grave crisi che sta avvenendo nel racconto di Marco. Dopo la controversia centrale sulle due autorità, quella di Dio e quella degli uomini, Gesù abbandona la terra d'Israele e interrompe addirittura la sua predicazione. Solo la risposta piena di fede della donna straniera lo convince a riprendere la sua attività di guarigione e la via verso i territori confinanti con la terra della promessa, dove però, una volta giunto, non rivolgerà nemmeno la parola ai suoi avversari (8,11-13).

L'episodio del sordomuto si presenta quindi come l'immagine di una terra e di un popolo che si apre, per grazia, alla predicazione di Gesù.

Traduzione. Questa pagina pone soprattutto il problema di come e quanto una traduzione "formale" debba riprodurre le sfumature lessicali del testo di origine. Consideriamo qui soltanto il caso dell'uso di sinonimi e il caso dell'uso unico di certi termini.

Il racconto della donna cananea usa quattro sinonimi per indicare i figli e due termini differenziati per indicare i "muti".

1) Compare due volte il termine generico "thugàtêr" per "figlia" ai versi 26 (in bocca al narratore) e 29 (in bocca a Gesù);

2) una volta il termine diminutivo "thugàtrion" per "figlioletta" al v. 25 (narratore, punto di vista della donna);

3) due volte il termine generico per figli maschi e femmine "tekna" al  v. 27 (Gesù);

4)  due volte il termine diminutivo "paidion" al v. 28 (in bocca alla donna) e al v. 30 (narratore, ma punto di vista della donna).

La traduzione dei Ghiani, rispetto ad altre, mantiene queste differenze, usando i termini "filla, fillixedda, pipius, pipiedda".

Allo stesso modo, i Ghiani mantengono la differenza tra il termine specifico "achichiadori" (così anche P. Cuccu; M. Vargiu ha "surdumudu") e il termine generico "mudu" al v. 36.

Per il problema dei termini usati una volta soltanto, notiamo che ci sono due verbi che Marco usa solo qui, per il "pregare" della donna (v. 26) e per il "prendere a parte" di Gesù (v. 33). L'interrogativo si pone se e come una traduzione formale debba riprodurre questi usi unici (in greco hapax) del testo originale. Ciò ha un'importanza particolare per un successivo confronto sinottico con gli usi linguistici di Matteo e di Luca. Dato che le traduzioni usuali in genere trascurano in gran parte il problema, una traduzione in sardo che rispettasse queste corrispondenze avrebbe anche le carte in regola per essere confrontata per motivi di studio da parte di studenti non a perfetto agio con il greco. Certo, l'adozione di usi unici di un certo termine non deve essere fatta a scapito della "naturalezza" della traduzione. Ad esempio, in questo testo sarebbe risultato quanto mai naturale in sardo dire usare l'espressione "pigai a parti" (così P. Cuccu e M. Vargiu). Ma siccome si tratta di un hapax, resta da vedere come usare poi termini diversi per tradurre "pigai sa gruxi" (8,34: airo), "pighendiddu a sa manu" (9,27: krateo), "pighi sa pobidda" (12,19: lambano), "pighendiddu a traitoria" (14,1: krateo).  La soluzione dei Ghiani che usano solo qui il termine "stresiendinceddu a parti", nel mentre che rispetta il senso del verbo greco sottostante apolambano, mi sembra nello stesso tempo attenta sia ai problemi di stile del testo originario  sia, in prospettiva, alle esigenze di studio di un confronto sinottico.