Note
Mt 26,06 Sendhe
Mt 26,6: ghenomčnu –
Mc 14,3: ňntos: “sendhe isse…“
CEI, rispettivamente: „Mentre Gesů si trovava a Betania…”; Gesů
si trovava a Betania. Mentre…”. I due participi, di verbi diversi, vengono
tradotti con un unico verbo (“trovarsi”). Per una maggiore aderenza
al testo greco, ho usato un gerundio (“sendhe”, da “čssere”),
ma anch’io non ho differenziato i due verbi. Conservando comunque il gerundio,
si potrebbe differenziare: quanto a Mt, traducendo “agatčndhesi
isse”; quanto a Mc, conservando “sendhe”. Ritengo
comunque difficile riservare per ghěnomai in sede di traduzione
un unico verbo da usare in tutti i casi. E’ possibile, per esempio, tradurre
con uno stesso verbo, da non impiegare poi per la traduzione di altri verbi,
eghčneto di Mt 26,1 – ghčnetai di Mt 26,5
– ghenomčnu di Mt 26,6, se in sede di traduzione lo
dobbiamo tenere distinto da eimě, črchomai, etc.?
Mc 14,03 in sa domo
Mt 26,6: en oikěa = “in domo“; Mc 14,3: en tč
oikěa = „in sa domo”
Concordo per l’inserimento
dell’art. “sa” in Mc, anche se fra le due espressioni
c’č un po’ della differenza che intercorre fra gli inglesi “home” e “house” (CEI: “nella casa di…”,
sia per Mt che per Mc).
Mt
26,06 [anakeimenou]
Mt 26,6: anakeimčnu – Mc 14,3: katakeimčnu
CEI traduce "mentre era a tavola“ in entrambi i casi. Non credo,
anzitutto, che in sede di traduzione sia possibile operare una distinzione fra i
due verbi greci. I dizionari danno
per anŕkeimai e per katŕkeimai piů o meno gli
stessi significati: “giacere”, “essere disteso”, “stare
disteso” e “essere a tavola”, “stare sdraiato a mensa”,
“partecipare a un banchetto” ; Buzzetti dŕ, fra gli altri
significati: “essere seduto a tavola” ed “essere ospite a un
pranzo”. CEI traduce: “mentre egli stava a tavola” (Mt)
e “mentre era a tavola” (Mc).
Per venire al sardo, il vocabolo piů comune che traduce “disteso” č
“istčrridu” (log.) / “sterriu” (camp.). Si
č discusso se fosse il caso di ricalcare nella traduzione l’espressione greca
contenente l’accenno alla posizione assunta a tavola. Mi č parso di capire
che si sia concluso per il no. D’altro canto, l’espressione “essere
seduto a tavola” opera palesemente una transculturazione. [cfr nota AP]
Quanto al sardo, non mi č stato agevole reperire un’espressione
corrispondente all’italiano “a tavola” (con assenza quindi
di ogni riferimento alla posizione assunta) che potesse essere pacificamente
accettata da tutti. Premesso che “la tavola” č comunemente “sa
mesa” ma anche “sa
banca”, la verifica sui dizionari mi ha dato i seguenti risultati: Espa:
“setzire a mesa”, ma “aparitza sa banca”; Pittau:
“Amigu a banca, frade a bisonzu”; Puddu: “setzer
in mesa”, ma “ in banca no bos manchet pane e binu” e “su ditzu narat: amigu a tŕula
e frade a bisonzu”; Spano: “andhare a tŕula” (=
“porsi a tavola”): Casciu (camp.): “chini cantat in
mesa o in lettu, o est maccu o est fertu”. Dunque: “a tavola” =
“a mesa”, “in mesa”, “a banca”,
“in banca”, “a tŕula”. Fa parte della mia
esperienza personale “in banca” e forse anche “in tŕula”.
Le espressioni con “tŕula” sono palesemente mutuate
dall’italiano (anche se “taula” č parola catalana: “posar-se
a taula” = “sedersi a tavola”). In sardo “tŕula” ha
infatti solitamente il significato di “asse”, “legno piallato”
(“unu covecu ‘e tŕula” = “un coperchio di legno”;
“su tauladu” era l’assito delle vecchie case). Inoltre, le
forme con “in” servono anche per indicare quel che si mette “sulla”
tavola: le pietanze, le bevande, il vaso di fiori, etc. Io aggirerei la
difficoltŕ usando semplicemente “mandhighendhe” (non credo
che in questo caso possa nascere qualche incertezza sulla localizzazione dei
protagonisti: se davanti a una tavola imbandita oppure seduti su un gradino
della scala a mangiarsi un panino). Userei inoltre la stessa espressione per
entrambi gli evangelisti, anche se in posizione diversa, come del resto in greco
(dove perň – se non vado errato – il participio viene usato in due
costruzioni diverse: genitivo retto da tčs kefalčs in Mt,
genit. assoluto in Mc).
In conclusione: per Mt: “si li acurtzičit una fčmina… e
l’isparghčit… in su mentras ch’isse fit mandhighendhe”; per Mc:
e sendhe isse in Betŕnia… in su mentras ch’isse fit mandhighendhe
‘enzčit una fčmina…”.
nPGh : ricordo mio padre che usava questa frase: "immoi benis, a
taula scutta": = "adesso vieni, quando tutto č giŕ stato
ritirato".
nota
AP circa "sterrius" : manco a farlo apposta, sul numero pasquale
del Jerusalem Report (quindicinale di attualitŕ e cultura ebraica)
l'articolo di commento biblico č proprio sul significato della posizione
"distesa" in uso presso gli ebrei specificamente per la cena
pasquale: in breve, in quel giorno anche lo schiavo
assumeva le modalitŕ di comportamento degli uomini liberi e appartenenti alle
classi sociali piů rispettate. Non sembra perň che tale tradizione abbia
goduto sempre di una diffusione generale e di un consenso unanime, né circa l'uso né circa il
significato. In particolare, tale posizione "distesa" era concessa da
certi "maestri" ai propri alunni nei pasti comuni, mentre da altri no.
Tale concessione significava un particolare riconoscimento verso i discepoli .
Per quanto riguarda la traduzione: Perdere del tutto il signficato del verbo
greco mi sembra vada a toccare un aspetto significativo (a quanto pare)
dell'usanza pasquale ebraica, usanza che servirŕ nel vangelo di Giovanni anche per
spiegare il come il discepolo preferito potesse poggiare il capo sul petto di
Gesů. Allora: se disturba tradurre "sterridu a mandighare", non si
potrebbe pensare a una traduzione in cui il concetto di "sterridu"
venga attribuito alla tavola, dal momento che in sardo si usa questo verbo per
dire qualcosa come "sterri sa mesa"? (ap 20-04-01)
Inoltre: mantenere il verbo greco "sterridu a..." aiuterebbe a rendere
piů comprensibile sia l'unzione dei piedi, nel vangelo di Gv, (difficile farlo
se si č seduti come da noi: bisognerebbe andare sotto il tavolo...), sia
l'unzione della testa in Mc e Lc (sempre piů facile farlo se uno č
"sterriu"...) (ap 5/9/01).
Mc
14,03 acudèit
Mc 14,3: člthen: “acudčit”
Forse č meglio mantenere per črchomai “bčnnere” e
riservare “acudire” (“arrivare”, “giungere”)
per la corrispondenza con altri verbi.
Mt 26,07 unu botitu
de alabastru
Mt 26,7 – Mc 14,3: alŕbastron: “unu botitu de alabbastru”
Quanto all’ortografia, Puddu usa la doppia “b” (“alabbastru”)
per distinguere la pronuncia dalla “b” debole di “cuba” (=
“botte”). Credo che molti non siano d’accordo. Io
concorderei con lui, anche se mi pare di ricordare esempi di pronuncia debole (“alabastru”).
Perciň, “de alabbastru” in entrambi gli evangelisti. I dizionari traducono “vaso di alabastro”. Cosě
pure CEI. ABU traduce “vasetto di alabastro”,
supponendo indubbiamente che il contenitore fosse di dimensioni ridotte, atteso
il tipo di contenuto e la sua preziositŕ. Sulla stessa linea, io ho tradotto “botitu”,
diminutivo di “bote” (camp. “botu”, spagn. “bote”),
che ha il significato sia di “barattolo” che di “vaso” (di
vetro). Per ragioni di chiarezza ho inserito “prenu de” (da omologare “’e”,
che peraltro ricalca una pronuncia comune – cfr. “procurade ‘e
moderare” di F.I. Manno – in “de” per coerenza).
Mt 26,07 (prenu) 'e ozu profumadu
Mt 26,7 – Mc 14,3: myron (gen. myru): "ozu profumadu“
Data la presenza in Mc 12,8 di un verbo con la
stessa radice, myrězo (= “profumare”, “ungere”),
č preferibile sostituire “ozu” con “unghentu” (“unghentu profumadu”)
o, piů semplicemente, con “profumu” (CEI traduce “profumo” ), in modo da poter
tradurre myrěsai di Mc 14,8 con i verbi (rispettivamente) “ůnghere”
o “profumare”.
Forse, meglio quest’ultimo.
Mt 26,07 e bi l'isparghèit
Mt 26,7: katčcheen epě tčs kefalčs autů: „bi
l’isparghčit in conca”; Mc 14,3: katčcheen autů tčs kefalčs:
“li ‘etčit su profumu in conca”
CEI: Mt 26,7: “glielo versň sul capo”; Mc 14,3: “versň
il profumo sul suo capo”. Mc costruisce katachčo senza
la preposizione (epě), Introducendola anche per lui, la traduzione letterale in
sardo sarebbe: “subra sa conca de isse”. Anzitutto non ritengo
opportuna la traduzione in sardo della preposizione, inquanto in questo caso
fuori dall’uso comune. In secondo luogo, per la traduzione di katčcheen
mi orienterei in sede di omologazione su “isparghčit”. In
terzo luogo, rilevo che in una
ipotetica traduzione letterale “conca” sarebbe preceduta
dall’articolo (“sa”).
Mi sembra perň che qui il suo impiego sarebbe reso, per cosě dire, piů
normale dalla presenza del genitivo “de isse” per determinare
il sostantivo. Ora, a me pare che
il sardo abbia in questo caso esigenze diverse da quelle del greco, che
oltretutto non usa un aggettivo possessivo ma un genitivo, e anche da quelle
dell’italiano, non risultandomi che esista in sardo una espressione la quale
ricalchi quelle impiegate nella traduzione CEI: “sul capo” o “sul
suo capo”. D’altro canto, in materia di articoli ogni lingua ha i suoi
canoni (si pensi, ad esempio, all’uso dell’art. in inglese, ben diverso da
quell’italiano, a proposito di “countable and uncountable nouns”;
cosě come in determinati casi inglese e francese esigono il possessivo in luogo
dell’art. dell’italiano). Io propenderei per il non impiego nella traduzione
sarda dell’art. per entrambi gli evangelisti, piů che per il suo
mantenimento. “L’isparghčit in/subra sa conca sua” o, in
alternativa, “bi l’isparghčit subra sa conca” sarebbero
teoricamente possibili e perfettamente comprensibili, ma non sarebbero
dell’uso comune. In conclusione, modificherei il tutto come segue:
Mt: “Agatčndhesi Gesůs in Betŕnia in domo de Simone su lebbrosu
si li acurtzičit una fčmina chi giughěat unu botitu de alabbastru (prenu) de
profumu (o in alternativa: unghentu profumadu) pretziadu meda e
l’isparghčit (su profumu/ s’unghentu) in conca in su mentras ch’isse fit
mandhighendhe”.
Mc: “e sendhe isse in Betŕnia in sa domo de Simone su lebbrosu, in
su mentras ch’isse fit mandhighendhe ‘enzčit una fčmina chi giughěat unu
botitu de alabbastru (prenu) de profumu (o in alternativa: unghentu
profumadu) de nardu, sintzeru e caru meda, seghčit su botitu de alabbastru e
l’isparghčit su profumu/s’unghentu in conca”.
nAP : per mantenere la differenza di costruzione con l'accusativo in Marco, si
potrebbe dire: l'ispargheit
sa conca de profumu ?
Mt 26,08: idňntes dč: “ daghi ‘idčin
(cussu)”
Per una maggiore aderenza al
greco, si potrebbe tradurre con un gerundio: (b)idendhe (cussu), sos
dischentes…”. CEI traduce: “vedendo ciň”. Ma
probabilmente č preferibile mantenere la forma impiegata. Quanto a dč,
la particella č giŕ stata incontrata, nei Vangeli della Passione, in Mt
26,5 (člegon dč) e in Mc 14,1 (čn dč).
In entrambi i casi non č stata tradotta, mentre viene tradotta con “ma” in
Mc 14,4 (eganŕktesan dč. Su dč vedere
comunque piů avanti.
Mt
26,08: mathetŕi: “sos dischentes“
La traduzione di questo vocabolo
richiede un discorso un po’ articolato. Mathetčs (sing. di mathetŕi)
= “discepolo”, “seguace”. In ital.: “discepolo”
= “chi segue l’insegnamento di qualcuno che riconosce come maestro,
direttamente o attraverso le sue opere; “i discepoli di Cristo” o
“i Discepoli” = “gli apostoli e gli altri seguaci che
lo conobbero durante la sua vita terrena”. “Seguace” = chi
segue e sostiene una dottrina, una scuola, un maestro” [Le definizioni
sono del Dizion. Ital. Garzanti]. Il sardo “dischente” equivale
all’ital. “discente” (= “chi impara”, “alunno”,
“allievo”), contrapposto a sua volta a “docente” (= “che
insegna”). I due vocaboli “discente” e “discepolo”
ricalcano i latini “discens” e
“discipulus”, i quali, a loro volta, discendono evidentemente
entrambi dal verbo latino “discere”
(= “imparare). Entrambi implicano quindi l’idea di “apprendimento”, ma
in “discepolo” č indubbiamente contenuta anche l’idea di “adozione
di principi” o “professione di una fede”. In sardo il termine “discěpulu”
esiste (insieme con le
varianti “dissěbbulu” e “dissěpulu”),
parallelamente all’ital. “discepolo” (oltre che allo spagn. “discěpulo”,
al portoghese “discěpulo”, al franc. “disciple”,
all’ingl. “disciple”, tutti vocaboli presenti nelle rispettive
traduzioni del passo in argomento). Il termine sardo viene definito da Puddu:
“chie est imparendhe ifatu de unu mastru”; “dischente”
viene definito: “chie est ifatu de unu mastru traballendhe e
imparendhe un’arte o mestieri” (durante i miei anni giovanili i
mestieri artigiani venivano indicati dagli “addetti ai lavori” come “facultades”).
Vi sono poi alcuni termini il cui uso si č standardizzato per determinati
campi, in particolare quello religioso. Cosě: “su Bambinu”
per indicare “Gesů Bambino” (mentre lo stesso termine non puň indicare “il
bambino” in generale); “resuscitare”, su cui nell’uso
comune prevale “torrare a bida”, ma che viene impiegato quasi
esclusivamente quando si tratta della risurrezione di Cristo. Cosě anche “discěpulu”,
che ho incontrato varie volte in traduzioni sarde dei testi sacri. Casciu (“Vocabulariu
Sardu Campidanesu – Italianu”) registra il vocabolo,
dandone la seguente traduzione: “discepolo”; “allievo”; e
fornendo proprio il seguente esempio: “is discipulus de Cristus”
= “i discepoli di Cristo”. Per tutte queste ragioni, mi
sembrava di non dover avere dubbi circa la traducibilitŕ di mathetŕi con
“discěpulos”.
Tuttavia, durante gli incontri settimanali nell’ambito del Corso di Traduzione
etc., sono emerse perplessitŕ circa l’opportunitŕ di una tale traduzione, in
considerazione del fatto che in alcune aree della Sardegna il termine “discěpulu”
ha assunto anche un significato negativo, testimoniato anche da Puddu nel
suo “Ditzionariu”, quello di “unu chi no si cumportat
a dovere”, con l’esempio: “cussu est unu dissěbbulu, no
istat mai frimmu”. Lo stesso Puddu traduce infatti in italiano
questo vocabolo, oltre che con “discepolo”, anche con “diavoletto”,
“spiritello”. D’altro canto, nella mia esperienza personale diretta, “dischente”
era il ragazzo messo a bottega presso un artigiano (un sarto, un falegname,
un calzolaio, un lattoniere, etc.) per apprendere il mestiere, quindi parte di
un rapporto di apprendistato (l’altra parte era rappresentata da “su
mastru”: “su mastru ‘e pannu” - a Ozieri, “su draperi” - ; “su
mastru ‘e linna” - a
Ozieri, “su mastruascia” - ; etc. Di “dischente” Puddu
fornisce coerentemente la seg. traduzione: “discente”, “apprendista”,
“allievo”. Una figura, quindi, ben diversa da quella dei discepoli di
Gesů. Quest’ultimo vocabolo č parso tuttavia il meno “indolore” nel
corso dei predetti incontri. Personalmente, la soluzione non mi lascia tuttavia
del tutto soddisfatto. La mantengo, comunque, almeno per il momento, in difetto
di una soluzione che risulti idonea per tutti.
Mt 26,08: eganŕktesan:
“s’airčin”
– Mc 14,4: čsan aganaktůntes: “fin
arrennegados”
Nella traduzione sono stati
impiegati verbi diversi con forme diverse. CEI traduce: “si
sdegnarono”per Mt; “si indignarono” per Mc.
Quindi: verbi diversi, stessa forma. Tuttavia, come č evidenziato nella
“sinossi” curata dal Prof. A. Pinna della Pontificia Facoltŕ
Teologica della Sardegna, il verbo greco č lo stesso nei due evangelisti (aganaktčo),
mentre diversa ne č la forma, indicando in Mt un evento e in Mc una
situazione. Ciň premesso, č opportuno far ricorso in sede di traduzione ad un
unico vocabolo. I significati di aganaktčo sono: “indignarsi”,
“adirarsi”, “sdegnarsi”. Per quanto riguarda il sardo, il
Dizionario di M. Puddu presenta tutta una serie di sinonimi con
questi significati. Quelli che ho impiegato mi sembrano quelli di uso piů
generale. Sulla base della mia esperienza personale, mi sembra che “arren(n)egŕresi”
abbia un significato piů intenso rispetto ad “airŕresi”.
Propendo, in questo caso, per il primo. Quindi: “s’arrenneghčin” per Mt; “fin
arrennegados” per Mc.
Mt
26,08 -proěte Mc 14,4: eis ti:
“proěte” (= “perché”) / “pro ite”
(= “per che cosa”)
Concordo per l’omologazione in
“proěte”. Qualora lo si volesse, si potrebbe far precedere “proěte”
da un “e” (manca tuttavia in greco la
parola corrispondente), per conferire una maggiore enfasi (procedimento assai
comune in sardo), giustificato dalla situazione emotiva riferita dai Vangeli.
Mt 26,09: kŕi dothčnai
ptochňis - Mc 14,5: kŕi dothčnai tňis ptochňis: “dŕrelu
a sos poveros”
La Sinossi mette in evidenza la
differenza fra i due evangelisti (assenza dell’art. in Mt, presenza
dello stesso in Mc). Concordo per la differenziazione: Mt: “dŕrelu
a pňveros” (espressione comunissima in sardo); Mc: “dŕrelos
a sos pňveros”.
Mt 26,10: dč o Iesůs : “Ma Gesůs”
– Mc 14,6: o dč Iesůs: “tandho Gesůs”
CEI, rispettivamente: “ma
Gesů”, “allora Gesů”. La particella dč č
presente nel greco in entrambi i casi, in posizione diversa. Un’aderenza
formale piů stretta richiederebbe l’omologazione in sede di traduzione. Io
direi di omologare non traducendola affatto, almeno in questo caso. Quindi:
sopprimere “ma” in Mt e “tandho” in Mc.,
anche se qui č meno facile fare a meno di qualcosa che sottolinei il passaggio da un
quadro (i discepoli che fremono di sdegno contro la donna) all’altro (Gesů
che interviene a favore della medesima).
Mt 26,10:
čipen autňis –
Mc 14,6: čipen – rispettivamente: “nerzčit a issos”; “nerzčit”
“lis nerzčit” č
forma piů comune nel linguaggio parlato, se non ricorrono motivi di enfasi.
Opterei per questa forma.
Mt 26,10: črgon gŕr kalňn ergŕsato
eis emč: “ ca issa at fatu un’atzione ‘ona pro me “ – Mc 14,6:
kalňn črgon ergŕsato en emŕi: “ at fatu un’ňbera ‘ona a mie
“
Le due espressioni sono quasi coincidenti, a parte l’inversione di due
termini, la presenza di gŕr nel solo Mt e il fatto che ad eis emč
di Mt fa riscontro en emňi in Mc. Gŕr viene
tradotta nei dizionari in vario modo: come congiunz. dichiarativa-esplicativa: “
infatti “, “ difatti “, “ in realtŕ“; come congiunz.
causale: “ perché “, “ poiché “, “ giacchč”
(dopo un’affermazione per confermarla o fondarla o motivarla; dopo un comando
o esortazione positiva per giustificarli) ( Rusconi, Vocabolario del
Greco del Nuovo Testamento, EDB). CEI qui non la traduce. ABU e Migliasso (Mondadori,
2000), neppure. Io manterrei “
ca ”, come congiunz. causale. - Ergon
, qui = “ lavoro “, “
fatto “, “ azione “, “ opera “, “ operazione
“. . – Ergŕsato: da ergŕzomai
(stessa radice di črgon)
= “ lavorare”, “ operare “, “ fare “, “ condurre
a termine “. CEI: “ ha compiuto un’azione buona “; ABU: “ ha fatto
un’opera buona “; la Biblia
de Jerusalén: “ una obra buena
ha hecho “; TOB franc.: “ c’est une bonne oeuvre qu’elle vient
d’accomplir…”. – Eis
emč / en emňi: CEI e ABU: “ verso di me “; B. de Jerus.: “conmigo”. Tutto considerato,
omologherei cosě: Mt/Mc: “ ca un’ňbera ‘ona at fatu cun
megus “ (o, se si preferisce: “
pro me “ (unica differenza:
escludere “ ca “ in Mc).
Mt
26,11 semper los azis cun bois,
Mt 26,11: pŕntote gŕr tůs ptochůs čchete meth’eautňn: “ sos
pňveros, difatis, semper los azis cun bois “ – Mc 14,7: pŕntote gŕr
tůs ptochůs čchete meth’eautňn: “
sos pňveros difatis los azis semper cun bois “
Il testo greco č identico nei due evangelisti, come č evidenziato nella
Sinossi. Occorre quindi omologare. CEI traduce: “ I poveri infatti
li avete sempre con voi “ (Mt e Mc). ABU: idem. B. de Jerus:. : «
porque pobres tendréis siempre con vosotros “ (in sardo sarebbe :
« ca pňveros ( ndh’) azis a tenner semper cun bois
“. Dios habla hoy: “porque a los pobres los tendrčis
siempre con vosotros “ – gŕr : (in analogia a CEI):
preferisco tradurre qui “ difatis “ (congiunz.
dichiarativa-esplicativa), a differenza di “ ca “ del versetto
precedente ( congiunzione causale confermativa). E’ uno dei tanti casi in cui
č palese la difficoltŕ di far corrispondere costantemente nella lingua di
arrivo uno e un solo termine a ciascun termine della lingua di partenza e
viceversa, qualunque sia il contesto. – “ semper “: la mia
storia linguistica personale m’indicherebbe “ sempre “, come
in italiano; preferisco “ semper “, registrato nei dizionari (Espa,
Pittau, Puddu) insieme con “ sčmpere “ (con
vocale paragogica), perché piů tipico del sardo (oltre che latino) e il cui
impiego mi pare si vada estendendo nei testi scritti anche ad aree che non gli
sono proprie. In conclusione, omologare in: “ sos pňveros difatis los
azis ( o, se si prefersce, los tenides) semper
cun bois “.
Mt
26,11 Ma a mie
Mt 26,11 – Mc 14,7: emč de u pŕntote čchete: rispettivamente:
“ ma a mie no m’azis semper “, “ pero a mie no semper m’azis “
CEI: “ ma non sempre avete me “. ABU: “ ma non sempre
avrete me “ (Mt); “ non sempre, invece, avrete me “ (Mc).
Da notare, a parte la non coincidenza nella traduzione di una frase peraltro
identica nei due evangelisti, l’uso del futuro, del resto forse piů logico. “
Ma” e “ invece” (congiunzioni
avversative) rendono in questo caso il greco dč. A proposito di
questa particella, v’č da dire che, in sede di traduzione, puň dar luogo ad
esiti diversi, a seconda del contesto. Talvolta viene ignorata; altre volte
viene tradotta con “ e” (greco: kŕi), “ ma” (greco:
allŕ), “ allora” (greco tňte), etc., in
base al contesto. La mia personale opinione č che, se non se ne puň ignorare sempre la presenza, tanto vale
rassegnarsi a renderla in modi diversi a seconda del contesto ove ricorre,
prescindendo dal fatto che una tale soluzione venga a farla coincidere di volta in volta, quanto al
significato, con una delle congiunzioni o uno degli avverbi che ho indicato fra
parentesi. Omologherei in: “ ma no semper azis (o, se si
preferisce, tenides) a mie”. Da notare che il
verbo sardo che viene proposto qui (“ ŕer/tčnner) č diverso
da quello impiegato per tradurre čchusa di Mt 26,7 e Mc 14,3 (“
giůghere”). Né potrei impiegare qui
quest’ultimo verbo (= “ portare”, “ recare”, “
condurre”), il quale mi č parso invece il piů indicato in quell’altro
contesto (non mi parrebbero altrettanto idonei “ chi aěat” o “
chi teněat” per čchusa;
forse si potrebbe dire comunque “ teněat in manu”; mi sembra
tuttavia preferibile la soluzione adottata.
Mt 26,12: balůsa: “
isparghendhe”
Balůsa č ptc. di bŕllo (= “ gettare”, ma
anche “ versare”). Se si
vuol mantenere anche nella traduzione la distinzione fra i due verbi bŕllo
di Mt 26,12 e katachčo di Mt 26,7 / Mc 14,3 (tradotto,
questo, con “ ispŕrghere” ) si puň usare qui “
(b)etare” (oppure adottare la soluzione inversa, che č da ritenersi
probabilmente la piů appropriata) e riservare quello dei due verbi che non
viene impiegato qui per i due passi paralleli di Mt e Mc giŕ presi in esame. Perciň: “ Difatis issa, isparghendhe /
‘etendhe… subr’a su corpus meu…”.
Mt 26,12:“cust’ozu
profumadu” tň myron tůto:
In proposito, v. considerazioni espresse sub Mt 26,7 / Mc 14,3 -
Modificherei quindi in “
custu profumu” o, in
alternativa, “
cust’unghentu (profumadu), a
seconda della soluzione che si sceglierŕ per i due passi paralleli citati.
Mc 14,08:“ at untu in antětzipu su corpus meu” pročlaben myrěsai tň sňma mu:
Pročlaben, aor. da prolambŕno = „ fare qualcosa in anticipo“ _ Myrěsai, da myrězo = “ profumare”, “ ungere” (stessa
radice di myron). Perciň: “ at untu in antětzipu / at profumadu in antětzipu, a seconda del modo in cui verrŕ tradotto myron (“unghentu (profumadu)
/ profumu).
Mt 26,12: prňs tň
entafiŕsai me: “ in preparatzione de sa sepultura” – Mc 14,8: eis tňn entafiasmňn: “
pro s’interru”
Prňs: preposiz. con il
significato, in questo caso, di: “ in vista di”, “ per” (causa
finale). – Entafiŕsai, da entafiŕzo = “
preparare per la sepoltura”, “ seppellire”,
“ sotterrare”. – “ Sepultura”: Pittau registra il verbo “ sepultare” (dallo spagn. “ sepultar”) = “ seppellire”, “ sotterrare”. Non registra il
corrispondente sostant. Espa e Puddu li registrano entrambi. Piů
comune il termine “ interru”, detto perň soprattutto per indicare il funerale. Fra le traduzioni
spagnole, B. de Jerus. traduce rispettivamente: “ en vista de mi
sepultura” e “ para la sepultura”, ma Dios habla hoy traduce in
entrambi i casi “ para mi
entierro”. Io manterrei “
sepultura”, piů coerente con “ sepulcru”, presente piů avanti (stesso registro). – Eis: mi sembra che in questo caso si equivalga con prňs. Non mi sembra
opportuno andare incontro a ulteriori difficoltŕ
nell’intento di rendere le due preposizioni con due vocaboli diversi. – entafiasmňn (stessa radice del verbo entafiŕzo ), accusat. di entafiasmňs = “
preparazione per il seppellimento”, “seppellimento”, “sepoltura”.
CEI: “in vista della mia sepoltura” (Mt); “ per la mia
sepoltura” (Mc). ABU: “ mi ha preparato
per la sepoltura” (Mt); “ ha profumato in anticipo il mio corpo per la mia sepoltura” (Mc). Quanto al sardo, ove si dicesse per Mt “ in s’aisčtu (“
nell’attesa” ) de mi sepultare”, si manterrebbe
l’esatta corrispondenza con il verbo e il pronome del testo
originale, ma il significato di “
in s’aisetu” non coinciderebbe con quello finale
dell’eis greco e si potrebbe pensare
che la donna fosse in attesa della morte di Gesů. Dire “ l’at fatu pro mi sepultare” non renderebbe ugualmente il
senso del greco. In difetto di una soluzione piů idonea, aggiungerei un
possessivo in Mt, “in preparatzione de sa sepultura mia”,
e modificherei Mc in “ pro sa sepultura”.
Mt 26,13 amčn lčgo yměn Mc 14,09 amčn
de lčgo yměn: rispettivamente: “in veridade naro a bois” e
“in veridade bos naro”
Le due frasi coincidono, se si eccettua la presenza di de in
Mt. Ignorerei de nella traduzione. Amčn:
formula derivata dall’ebraico ed impiegata nei vangeli per introdurre
un’affermazione solenne. Di solito tradotta in italiano “ in veritŕ”, in
francese “ en vérité”. B. de Jerus. e Dios habla hoy omettono
la formula e rafforzano lčgo in “aseguro”. Data
l’estraneitŕ della formula alla lingua greca, si č pensato, in occasione
degli incontri all’interno del Corso etc., di riprodurre la situazione anche
nella traduzione sarda, mantenendo invariata la formula. Tuttavia, in fase di
prima bozza, ho seguito “ su connotu”, e cioč la soluzione
tradizionale. “Naro a bois / bos naro”: valgono anche qui le
considerazioni formulate a proposito di “ lis nerzčit / nerzčit a
issos” di Mt 26,10. Data la coincidenza, in pratica, fra i due
evangelisti, omologherei in: “ in veridade bos naro”.
Mt
26,13“ inůe si siat chi s’annuntziet custu evanzčliu”
ňpu eŕn kerychthč tň eyanghčlion tůto: – Mc 14,9: ňpu
eŕn kerychthč tň eyanghčlion: “ ue si siat chi s’annuntziet
s’evangeliu”
Il testo greco coincide nei due evangelisti, se si eccettua tůto,
presente solo in Mt. Opu eŕn = “ ovunque / in
qualunque luogo”. Kerychthč da kerysso = “annunciare
/ proclamare / diffondere”. “ Inůe/ue” sono sinonimi. Talvolta
li ho usati entrambi nello stesso contesto per evitare una ripetizione (v., p.
es: Mc 14,14). Qui omologherei in “ inůe”, anche per
la maggiore contiguitŕ di questo avverbio al campid. “ innůi”.
Sono convinto che dovunque vi siano coincidenze o somiglianze bisognerebbe
tenerne conto. “Evangeliu / evanzeliu”: entrambe le forme sono
possibili; forse la seconda č piů autenticamente sarda. In definitiva: Mt:
“ inue si siat chi s’annuntziet custu evanzeliu”; Mc:
“inue si siat chi s’annuntziet s’evanzeliu”.
Mt 26,13: tůto en ňlo tň kňsmo:
ne č stata erroneamente omessa la traduzione nella fase di digitazione . Mc
14,9: eis ňlon tňn kňsmon: “in totu su mundhu”
Mt: completare con “in totu su mundhu”, come segnalato
in Sinossi. Mc: penso che si possa modificare in “pro totu su
mundhu”, tenuto conto della diversa preposizione (e quindi del
complemento) rispetto a Mt ( en + dat. in Mt; eis
+ acc. in Mc. (CEI, rispettivamente: “ nel
mondo intero”, “ per il mondo intero”).
Mt
26,13 / Mc 14,9: lalethčsetai
Ftr. Pss. di lalčo = “ parlare / dire”.
CEI: “si dirŕ”. Occorre omologare, come da Sinossi.
Proporrei: “s’at a narrer” (a meno che non si preferisca,
per distinguere lalčo da lčgo, “s’at a
faeddhare de”).
Mt 26,13 “ in s’ammentu sou eis
mnemňsynon autčs: Mc 14,9: pro s’ammento de
issa”
Necessario omologare, come da Sinossi. CEI: “ in ricordo di
lei”. Proporrei: “ pro s’ammentu de issa”, tenuto
conto del genit., conformemente a CEI (ma anche del valore della
preposiz. greca).
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