Note a Mt
26,17-19 Mc 14,12-16 Lc 22,7-13 [Gv]
Mt 26,17: “sa prima die de
(sa festa ‘e) sos Panes ŕtzimos”
tč dč prňte tňn
azymon:
Per ragioni di uniformitŕ,
eliminerei le parole tra parentesi, a meno che non si vogliano inserire anche in
Mc 14,12 e Lc 22,7. Infatti il lettore, dopo l’esplicitazione in
Mc 14,1 e l’indicazione contenuta in Mt 26,2, dovrebbe avere giŕ
chiaro che si tratta di una festa. Perciň: Mt 26,17: “sa (prima)
die de sos Panes ŕtzimos”; Mc 14,12: “e-i sa prima die
de sos Panes ŕtzimos”; Lc 22,7: “benzčit sa die de
sos (Panes) ŕtzimos”
Mc 14,12:
li nerzèin: Lčgusin autň
oi mathetŕi autů
Se si preferisce, si puň
invertire nella traduzione l’ordine
delle parole, ricalcando cosě l’ordine che hanno in greco, magari conservando
il tempo presente dell’originale. Forse l’operazione conferirebbe al tutto
un’effetto presenza: “e li naran sos dischentes suos”.
Probabilmente bisognerebbe in questo caso fare un po’ una revisione dei tempi
impiegati in tutti i Vangeli della Passione. Se si dovesse addivenire a una tale
soluzione, il lavoro potrebbe farsi una volta completata la verifica in corso.
In ogni caso, e cioč a prescindere dal tempo del verbo, mi sembra preferibile
l’inversione proposta.
Mt 26,17: “e
li nerzčin” lčgontes:
In sede di traduzione, ho
risolto il ptc. in un pass. remoto, ritenendolo piů idoneo all’andamento del racconto. Quanto al pronome indiretto,
assente in greco, si puň eliminare qualora si voglia una maggiore aderenza, fin
dove possibile, all’originale.
Mt
26,17 “inůe cheres/a ůe cheres/inůe
cheres” /Mc 14,12/Lc 22,9: pů
thčleis: rispettivamente:
In effetti, mi sembra che la
presenza di apelthňntes in Mc, da apčrchomai (piů
o meno: “partire / andare via / allontanarsi”; e quindi verbo di
moto) possa modificare un po’ il senso della frase rispetto agli altri due
evangelisti. Letteralmente: “dove vuoi (che) essendo partiti prepariamo (etoimŕsomen,
da etoimŕzo = “preparare / approntare”) affinchč
mangi la pasqua?”. Pů sarŕ pure retto da etoimŕzo e non da apčrchomai, ma a
me č parso difficile evitare il moto a luogo (“a ůe / a inůe)
nella traduzione in sardo (in italiano il problema non si pone inquanto
“dove” č bivalente, riferendosi sia a stato che a moto a luogo).
Tuttavia, data l’ambiguitŕ circa il verbo che regge il complemento
rappresentato dall’avverbio interrogativo, aderirei alla soluzione proposta in
Sinossi, considerando in questo caso “andhare” e “aprontare”
come un tutt’uno. Perciň: inůe cheres chi andhemus e
aprontemus…”. Circa “ůe / inůe”, opto qui per “inůe”
per i motivi espressi sub Mt 26,13/Mc 14,9. Certamente, “inůe”
= “in” + “ůe” (nel logudorese di Nuoro,
variamente classificato dai linguisti da Campus fino a Blasco Ferrer passando per Wagner a seconda dei criteri di distinzione adottati nell’ambito del
logudorese, “inůbe” = “in+ube”, dove la derivazione dal latino “ubi” č
piů chiara), pertanto, originariamente, indicativo di stato in luogo, mentre “a ůe”č indicativo di moto a e “dae ůe” č indicativo di moto da. Credo che la caratteristica originaria si sia
persa, per cui, attualmente, “inůe”
= “ůe”, per cui: “a inůe” = “a ůe” e “dae inůe” = “dae ůe”. Alla conclusione premetto
qui la traduzione letterale dei punti
che interessano: Mt: “inůe cheres (chi) aprontemus a tie
(pro) mandhigare sa pasca”; Mc: “inůe cheres (chi) noch’essendhe andhados aprontemus pro
chi mŕndhighes sa pasca”; Lc (usa il vb. porčuomai = “andare
/ recarsi / andarsene”): “essendhebňche
andhados aprontade a nois sa pasca pro chi mandhighemus”. In conclusione: Mt: “Inůe cheres chi aprontemus pro te pro
mandhigare sa (chena ‘e) sa Pasca?”; Mc: “inůe cheres chi andhemus e aprontemus
pro chi mŕndhighes sa (chena ‘e) sa Pasca?”; Lc: “inůe cheres chi aprontemus?”
Lc 22,10: “e isse nerzčit”
o dč čipen autňis:
Come evidenziato in Sinossi, occorre inserire nella traduzione
l’equivalente del greco autňis = “lis”. Pertanto, “e isse lis nerzčit”.
Mc 14,13: “nerzčit”
lčghei:
La Sinossi pone in risalto lčghei
di Mc., probabilmente in
contrapposizione a Mt 26,18 e Lc 22,10. Lčghei, indic. pres. da lčgo = “dire”.
Nella traduzione il verbo č al pass. rem. Eipen, indic. aor.
att. sost. di člexen, 3° sing. Rusconi op. cit., sub lčgo, dopo aver elencato le forme derivate dalla
radice leg , cosě prosegue:
“ Ma nel N. T. la radice leg serve solo il sistema del presente, mentre il
sistema dell’aoristo attivo (e medio) impiega una radice (omissis) eip / ep. “ Lčgo viene per questo annoverato fra i verbi
politematici, cosě denominati perché formano i vari tempi sulla base di piů
radici (o temi verbali). (cfr. Corsani,
Guida allo Studio del Greco del
N.T., Roma, 1994). Pertanto, le voci čipen e lčghei si possono ricondurre entrambe a lčgo = “io dico”=
sardo-logud. “eo naro”). Peraltro, se si vuol riprodurre il tempo
presente del verbo lčgo nella traduzione, ritengo che debba tenersi
conto del tempo dei verbi che lo precedono, o, limitando la variazione al solo Mc 14,13, del verbo che lo precede immediatamente
(apostčllei) e
modificare quindi in: “e imběat
duos de sos dischentes suos e lis narat”.
Mt 26,18 – Mc 14,3: “andhade/tucade”
entrambi:
ypŕghete : rispettivamente:
“Andhare” ha in sardo lo stesso significato del vb. italiano “andare". Puddu, che registra il ptc. “
tucadu”, non registra
inspiegabilmente il corrispondente vb. “ tucare”. Pittau non registra né l’uno né
l’altro. Espa registra invece il vb. “ tuccare” (ma con cc, coerentremente con i criteri
ortografici da lui seguiti), dandone i segg. significati: “partire / andare
/ avviarsi / recarsi”. Fra gli esempi: “pruěte
(= proěte) no tucas a monte?” = “perché non vai in campagna?”; “ s’est tuccau (=
tucadu) che molente (c’est-ŕ-dire, ŕ
l’anglaise, n.d.r.); “ si sun tuccados” = “si
son messi in cammino”,
etc. Il vb. greco ypŕgo ha i significati di: “partire / ritirarsi / andare / andarsene” (vb. composto con apň, avv. e prep. che implica l’idea di separazione o di
allontanamento). Un altro verbo impiegato nei vangeli che mi sembra possa
considerarsi in questi casi un sinonimo di apŕgo č apčrchomai (= apň + črchomai). Una lista dei punti ove i due
verbi ricorrono potrebbe aiutare a stabilire, ai fini della traduzione, una
corrispondenza fra ciascuno dei due verbi greci e ciascuno dei due verbi sardi.
Possiamo, almeno per il momento,
stabilire: apŕgo = “ tucare” e usare quest’ultimo vb. in
entrambi gli evangelisti, omologando in Mt
e Lc: “ tucade a sa tzitade”.
Mt 26,18:“a
sa ‘e Fulanu”
prňs tňn dčina :
Dčina = “un
tale”. “
Fulanu” viene definito da Puddu: “una calesisěat pessone, mescamente
candho no si cheret fontomare (=mentovare)”. Dŕ come sinonimi; “bodale” (che fa parte
della mia esperienza personale diretta) e “nichele” . Dell’uso di “fulanu” fornisce i segg. esempi: “Fulanu nachi est
cojendhe cun Fulana”; “si ndhe pesat,
saludat su Fulanu e lu cumbidat, dčndheli sa manu”. La
traduzione che ne fornisce č: “tizio”. Espa traduce: “tizio / il tale / la persona di cui si parla”. Pittau registra l’espressione: “
ne Fulanu ne Suttanu” (=” né Tizio né
Sempronio”) e ne
fornisce l’etimologia (dallo spagn: “fulano”) (voz con que se suple el nombre de una persona, cuando se ignora o no se
quiere expresar; persona indeterminada o imaginaria [Dicc. Vox]). Registrato anche da Casciu e Lepori (sub “tizio”) per la variante campidanese.
Mc 14,14 – Lc 22,11: “a
su mere ‘e domo” rispettiv.: tň oikodespňte / tň oikodespňte tčs oikěas – trad. in entrambi i casi:
Data la differenza fra le
due espressioni greche, concordo per l’inserimento dell’art. “sa” in Lc,
conformemente a quanto evidenziato in Sinossi. Quindi, Lc 22,11: “a su mere ‘e sa domo” (tuttavia, mi sembra di cogliere una lieve differenza
fra “su mere ‘e domo” e “su
mere ‘e sa domo”,
quest’ultima parendomi piů appropriata per il proprietario della casa intesa
come edificio). Il mio logud. settentrionale mi avrebbe suggerito l’impiego di
“padronu”. Ho
usato “mere” perchč
probabilmente d’uso piů generale e inoltre contiguo al camp. “meri”. Vi č nella mia esperienza diretta una locuzione che
comprende entrambi i termini: “padronu e mere”, che significa “padrone assoluto”.
Mt 26,18 “cun sos dischentes
mios”– Mc 18,14 – Lc 22,11: metŕ
tňn mathetňn mu;
tradotto: Mt / Lc: ; Mc: “paris cun sos
dischentes mios”
L’opportunitŕ
dell’omologazione, considerata l’unicitŕ dell’espressione greca, č
evidenziata dal corsivo della Sinossi. Concordo. Per cui, anche in Mt e Lc:
“paris cun sos dischentes mios”. Per la var. camp., con questo
significato “paris” č registrato da Lepori ma non da Casciu,
che dŕ solo “impari” (log. “umpare”, che si
puň usare eventualmente in luogo di “paris” per i motivi da
me indicati a proposito di “inůe/innůi”).
Mc 14,15 – Lc 22,12: anŕgaion
mčga estromčnon: tradotto: “una sala manna in su pianu ‘e
subra sistemada (Mc) / giai sistemada (Lc)
Anŕgaion = “stanza
al piano superiore”; estromčnon, ptc. perf. pass. di strňnnumi
= “sistemare;
predisporre (una sala per mangiare); arredare (con tappeti)”. Concordo per
l’omologazione, eliminando “giai” da Lc.
Mc 14,15 “iněe aprontade pro nois”
– Lc 22,12: ekči
etoimŕsate (Mc: + eměn). Tradotto; (Mc): ;
(Lc): “aprontade iněe”
Ekči (avv.) = “lŕ”, “lě”, “ivi”. Etoimŕsate :
da etoimŕzo = “ approntare”, “ preparare”.
L’ordine in cui si susseguono l’avverbio e il verbo č uguale nei due
evangelisti. Sarebbe necessario, pertanto, omologare, come evidenziato dal
corsivo della Sinossi, facendo altrettanto nella traduzione sarda. L’assenza
di eměn in Lc mi ha indotto a modificare l’ordine delle
parole, disponendole secondo una successione piů consueta. Tuttavia, se si vuol
mantenere l’ordine del greco, omologare verso Mc. Se si prescinde da
tale ordine per ottenerne uno piů consueto, omologare verso Lc.
**** (un primo controllo sul greco operato fino a questo punto)
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