Note
Mt 26,20 Candho si ndh'enzèit su
sero
Mt 26,20: opsěas dč ghenomčnes :
tradotto « candho si ndh’enzčit su sero »
Mc 14,17: kŕi opsěas ghenomčnes: tradotto: “bčnnidu su
sero”
Lc 22,14: kŕi ňte eghčneto dč ňra: tradotto: “e
candho ‘enzčit s’ora”
Il vb. usato dai tre evangelisti č ghěnomai, in un contesto che
indica il succedersi del tempo. In ital., rispettiv.: “venuta la sera / e
venuta la sera / e quando venne l’ora”. In sardo: Mt: “ bčnnidu
su sero” / Mc: “ e bčnnidu su sero” / Lc: “e candho ‘enzčit s’ora”. Da
modificare pertanto Mt e Lc secondo queste ultime indicazioni.
Mt 26,20 si ponzèit a chenare
Mt 26,20: ančkeito. Nella
traduzione: “si ponzčit a
chenare”
Coerentemente con quanto detto piů sotto (sub Mt 26,21/Mc 14,18),
occorrerebbe modificare in: “s’isterrčit
a mandhigare”. Occorrerŕ
modificare, di conseguenza, anche Mt
26,6/Mc 14,3. Non si potrebbe
risolvere nel modo seguente? Mt
26,6: “ subra sa conca ‘e isse chi fit istčrridu mandhighendhe”; Mc 14,3: “mentras chi fit istčrridu
mandhighendhe”.
Lc 22,14 si setzèit a mandhigare
Lc 22,14: ančpesen . Nella
traduzione: “si setzčit a
mandhigare”
Il vb. greco č l’indic. aor. att. di anapěpto, “mettersi
a tavola/sedersi/adagiarsi a mensa”. Traduciamo (v. piů sotto sub Mt 26,21/Mc 14,18): “s’isterrčit a mandhigare”, anche se il vb. greco č diverso da anŕkeimai/katŕkeimai ( la differenza mi sembra data dal fatto che anapěpto indica
un’azione, mentre gli altri due verbi indicano uno stato; tuttavia la
differenza risultrerebbe comunque dalle diverse forme verbali)? Io propenderei
per il sě, se si vuole dar peso al significato della posizione assunta a tavola
(cfr. la cit. nota del Prof. A.
Pinna), a prescindere dal fatto,
rilevante dal punto di vista formale, che si tratti di verbo diverso.
Mt 26,20 cun sos
Dòighi.
Mt 26,20/Mc 14,17: Entrambi: metŕ tňn dňdeka: Tradotto rispett.: ” cun sos Dňighi / “paris cun sos Dňighi”.
Omologherei in: “ paris cun sos Dňighi”
Mt 26,21 E mentras chi fin mandighendhe
Mt 26,21: kŕi esthiňnton autňn :
Tradotto: “ e mentras chi fin mandhighendhe” – Mc 14,18: kŕi
anakeimčnon autňn kŕi esthiňnton: Tradotto: “ mentras
ch’issos fin istčrridos mandhighendhe”
Occorre, come suggerito in Sinossi, inserire
la congiunz. (greco kŕi) tra “ istčrridos” (anakeimčnon) e “
mandhighendhe” (esthiňnton), conformemente al testo
greco. Inoltre, per lo stesso motivo, inserirei il pron. “ issos”
(gr. autňn) in Mt e la congiunz. (gr. kŕi)
all’inizio di Mc: . Per
cui: Mt: “ e mentras ch’issos fin mandhighendhe”;
Mc: “ e mentras ch’issos fin istčrridos e mandhighendhe”.
A proposito di “istčrridos”, riprendo qui il discorso fatto
sub Mt 26,6/Mc 14,3, tenendo
ora conto delle puntualizzazioni fatte dal Prof. A. Pinna in sede di note
alla Sinossi. Personalmente, credo che sia piů difficile trovare un
denominatore comune per l’equivalente dell’espressione italiana “a
tavola” che non accettare “istčrridu/sterriu”. Si
tratta, in fin dei conti, di farci l’abitudine, attribuendo alla realtŕ
storica il dovuto peso, e prescindendo dalle immagini che ci hanno reso
familiari le varie raffigurazioni pittoriche dell’Ultima Cena. Nella
traduzione di Mt 26,6 contenuta nell’edizione italiana di Schniewind,
Il Vangelo secondo Matteo (Brescia, 1977) leggo: “mentre giaceva a
banchetto”; mentre per Mt 26,20 trovo:
“Ma quando fu sera, egli si coricň a cena coi dodici discepoli. E mentre
mangiavano, egli disse…”. Per i passi paralleli di Mc trovo
invece nell’edizione italiana di “Il Vangelo secondo Marco” di Schweizer (Brescia, 1971), rispettivamente: “mentre
era a tavola” (Mc 14,3); “e mentre erano a tavola e
mangiavano” (Mc 14,8). Per Lc 22,14 trovo nell’edizione
italiana di Rengstorf, Il Vangelo secondo Luca (Brescia, 1980): “E
quando fu l’ora, si adagiň a mensa”, in sardo: “e candho ‘enzčit
s’ora, s’isterrčit a mandhigare”.
Mt
26,21 unu de 'ois
Mt 26,21/Mc 14,18: Entrambi: čis ex ymňn paradňsei me.
Nella traduzione, rispettivamente : “unu de ‘ois m’at a
intregare / unu ‘e ois m’at a intregare”
La differenza č soltanto di natura ortografica. “ ‘e” (con l’apostr., che segnala la caduta di d) č
uguale a “de” e ricalca una pronuncia comunissima (v. “procurade
‘e moderare” di “Su Patriottu Sardu a sos Feudatarios”
dell’ozierese Francesco Ignazio Manno). Similmente “ ‘ois” (con
l’apostr. che segnala la caduta di b) č uguale a “
bois”. In questo secondo caso e nella stessa posizione la b
non viene comunque pronunciata, mentre nel primo caso č comunissima anche la
pronuncia della d. L’incertezza sull’ortografia č dovuta alla
mancanza di regole sicure ed uniformi, sempre invocate ma mai stabilite.
Riusciranno i Sardi, in un qualche giorno fortunato, a ritrovarsi uniti almeno nell’ortografia? Nell’attesa, direi di
unificare in: “unu de ‘ois m’at a intregare”.
Mc 14,19 comintzčin a
s’intristare
Mc 14,19/Lc 22,23: rispettiv.: črxanto lypčisthai / kŕi aytňi črxŕnto
syzetčin prňs eaytůs. Nella traduz., rispettivan.: “comintzčin
a s’intristare / e comintzčin a chircare intre issos”.
In Lc non ho volutamente tradotto il sogg. autňi (= “issos”)
per evitare una sgradevole ripetizione. Mettere “ cussos” al
posto di “issos”, e cioč il pronome dimostrativo per evitare
la ripetizione del pronome personale? In italiano sarebbe: “e quelli
cominciarono…”, ma mi sembra che “ cussu” usato come pronome in un caso come quello
in esame per designare una persona abbia una connotazione un tantino
peggiorativa rispetto al corrispondente italiano (e forse anche rispetto
all’uso campid.), come se si dicesse: “quello lě”. A meno che,
considerato il diverso valore dei due pronomi greci, non si voglia dire: “e
issos comintzčin a chircare intre issos matessi” (o, se si
preferisce, intre issos etotu: altro problema ortografico: “e
totu”, scindendo i due elementi, oppure “etotu”,
trattandosi di stereotipo?)
Mt 26,22
S’intristčin meda
Mt 26,22: kŕi lypůmenoi sfňdra črxanto lčghein aytň eis čkastos.
Tradotto: “ S’intristčin meda e donzunu comintzčit a li narrer”
Lypůmenoi da lypčo, forma pass.: in q.c.: “rattristarsi
/ diventare triste”. Sfňdra, avv.: “molto / assai /
fortemente”. Erxanto; da archo. Forma med.: in
q. c.: “cominciare”. Čkastos: “ciascuno”.
Se si vuole conservare in sardo la 3a pers. plur. del vb., come mi parrebbe di
capire dalla Sinossi, si potrebbe: a) risolvere il ptc., come del resto giŕ
fatto: “e s’intristčin meda e…”; b) restituire la 3a
pers. plur. al vb.: “ comintzčin a li narrer” (perché
omettere il dativo, come sembrerebbe suggerire la Sinossi?); c) spostare il
sogg. in fondo come in greco: “ onzunu”, in maniera da rendere
compatibile il vb. al plur. In definitiva: “ e s’intristčin meda e
comintzčin a li narrer donzunu…”.
Mt 26,22 so eo forsis, Segnore
Mt 26,22: mčti egň eimi, kyrie: “ so eo forsis, Segnore”;
Lc14,19: mčti egň: “ no ap’a esser eo”
Il testo greco di cui dispongo io č quello della Societŕ Biblica Britannica e
Forestiera (Roma, 1996), basato sulla 27a ediz. Nestle-Aland (1993), che
reca kŕi ŕllos, indicato in Sinossi, solo in nota come variante.
Lo trovo in nota come variante anche nell’ediz. del testo greco curata da Merk
e pubblicata da EDB (Bologna, 1997). Non figura, infine, nella Sinossi di Poppi
(Messaggero, Padova, 1999). Se si conduce la traduzione sul testo su cui mi
son basato io, modificare Lc in: “ Eo forsis ?”.
Mt 26,22 isse tandho rispondhčit
Mt 26,22 dč apokrithčis čipen. Tradotto: “isse tandho rispondhčit”
Concordo sulla necessitŕ di aggiungere “e nerzčit”, a meno
che non si voglia, per una maggiore aderenza al greco, dire “isse
rispondhendhe nerzčit”, omettendo perň la traduzione di de.
Opterei per quest’ultima soluzione, ritenendo che sia da preferire, fin dove
possibile, un’equivalenza formale. Con l’aggiunta di “nerzčit” si ottiene inoltre l’omologazione con Mc 14,20.
Mt
26,23 su ch’infundhet
Mt 26,23 / Mc 14,20: rispettiv.:
o embŕpsas / o embaptňmenos: Tradotto in entrambi i casi: “
su ch’infundhet”
I due participi greci sono diversi oltre che per la forma anche per il tempo
(aotr. il primo, pres. il secondo). CEI traduce infatti rispettivamente: “colui
che ha intinto” e “colui che intinge”. Direi
pertanto di modificare cosě: Mt: “ su ch’at infustu”;
Mc: “ su ch’infundhet”.
Mt
26,23 cun megus
Mt 26,23 / Mc 14,20 / Lc 22,21: met’emů (tutti e tre). Nella
traduz., rispettiv.: “ cun megus / paris cun megus / cun megus”.
Omologhiamo in: “ paris cun megus”.
Mc
14,21 tzertu ca
Mc 14,21 / Lc 22,22: entrambi: ňti o mčn: Nella traduzione,
rispettivamente: “tzertu / ca”
A dire il vero, “ tzertu” corrisponderebbe piů a mčn,
mentre “ ca” corrisponderebbe piů a ňti. CEI
ignora sia ňti che mčn. Altre due traduzioni
prese a caso: TOB franc.: “car”; Biblia de Jerusalén: “porque”. Entrambe ignorano mčn: Direi di fare altrettanto e
omologare in “ ca”.
Mt
26,24 ma ... pero
Mt 26,24 / Mc 14,21 / Lc 22,22 – rispettiv.: uŕi dč to
anthrňpo ekčino; idem; plčn uŕi tň anthrňpo ekčino
Plčn: in q c.: “ma / perň / tuttavia”. Ekčinos:
in q. c.: “quello”. In traduz., riserverei “ma” per dč e “ pero” per
plčn (La
grafia di “ pero” ricalca la pronuncia come la sentivo da mia
nonna, la quale doveva essere nata agli inizi della seconda metŕ
dell’Ottocento. Se suona strana e obsoleta, accentare all’italiana).
Mt
26,24 Bonu fit istadu
Mt 26,24 / Mc 14,21. Rispettivamente: kalňn čn aytň ei ůk
eghennčthe o ŕnthropos ekčinos / kalňn aytň ei ůk eghennčthe
o ŕnthropos ekčinos. Nella traduz.: “Bonu fit istadu pro isse
si cuss’ňmine no esseret nŕschidu” /
idem.
In Mc il primo verbo manca. Conformemente a quanto evidenziato in
Sinossi, eliminare da Mc “ fit istadu”.
|
|